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Spazi da riqualificare: come attivare la partecipazione

Attivare la partecipazione dei cittadini è un tema delicato e complesso; un’operazione che chiede competenza e anche la disponibilità a posizionarsi su tempi lunghi, nonché una certa capacità di sostenere la frustrazione.

I meccanismi di coinvolgimento comunitario non sono sempre così automatici e non offrono delle ricette semplici da applicare e di sicuro successo. Questo vale anche in relazione ad interventi di riqualificazione di spazi finalizzati ad un utilizzo pubblico, spazi che si configurano come un bene comune. Molti sono i livelli che occorre presidiare e le variabili da considerare, rispetto alle quali occorre una indiscussa capacità di saper navigare i contesti con grandi doti di equilibrio e di sensibilità. Sensibilità ai contesti, appunto.

AgenziaRES ha appena iniziato un’operazione di questo tipo volta alla riqualificazione di una ex-scuola media nel centro storico di Fermo. Lo abbiamo già descritto qui anche e soprattutto in relazione alla programmazione degli eventi per questo periodo autunnale. Ma ora nasce la parte più complicata; quella tesa a coinvolgere la comunità cittadina nell’attività di progettazione, di gestione e di partecipazione a ciò che questo spazio intende divenire. Proviamo a descrivere i nostri assunti di partenza. Le parole chiave intorno alle quali si situa il nostro approccio. Se poi qualche lettore avesse voglia di aiutarci offrendo i suoi commenti – anche critici – ed i suoi suggerimenti, questo articolo sarebbe evidentemente servito a qualcosa.

Identità. Un termine di aggancio importante è proprio quello identitario. Costruire o ricostruire il ruolo che quel bene ha occupato nella storia personale e nell’anima della comunità di appartenenza, diviene sempre un esercizio che salda intorno ad esso e all’operazione di ricostruzione di una nuova finalizzazione funzionale, risorse umane importanti ed inaspettate. Uno spazio, un luogo, non sono mai elementi neutri.

Quasi sempre essi hanno sedimentato strati di storie personali, di ricordi significativi, di eventi che vi sono accaduti i quali gli hanno assegnato un ruolo nel panorama cittadino. Un ruolo che ripreso e valorizzato, è ancora in grado di attivare nuove energie e risorse. Ricostruire un futuro a partire dalla memoria dei luoghi diviene così una strategia quasi sempre pagante, la quale può essere concretamente perseguita tramite le più diverse strumentazioni, siano esse di tipo iconografico o narrativo.

Ma l’identità deve essere perseguita anche tramite la caratterizzazione che lo spazio viene ad assumere. La sua nuova missione, possiamo dire. Occorre pianificare l’uso degli spazi e individuare le attività con coerenza e fedeltà all’idea: farlo in maniera puntuale e impeccabile perché il senso di identità del luogo deve crescere senza determinare la percezione di faziosità e opportunismo. Realizzando quindi un progetto che abbia una identità chiaramente definita e riconoscibile.

Interessi. Più immediato ed evidente, ma non per questo più semplice. Coinvolgere la comunità in relazione agli interessi comporta alcune considerazioni non banali. Anzitutto riuscire a far leggere, a far vedere la possibilità che in quel luogo possano trovare realizzazione alcuni personali interessi; non è cosa scontata, ma una potenzialità che si deve essere in grado di suscitare, di far percepire. Se ci si riesce si avranno persone che con energia ed entusiasmo perseguiranno la possibilità di vedere realizzati loro sogni e desideri.

A quel punto, si tratta di gestire la regia degli interessi in gioco, per fare in modo che questi non si scontrino e non si elidano a vicenda, ma che ciascuno trovi spazio e si contemperi nell’altro. Al tempo stesso mantenere l’equilibrio giusto rispetto alla nuova missione che si intende assegnare al bene: esso non può mai essere un contenitore universale valido ad ospitare qualunque attività ed evento, ma deve garbatamente selezionare le proposte senza far percepire un senso di esclusione e di esclusività.

Fiducia. Il meccanismo da porre in essere deve caratterizzarsi come un attivatore di fiducia. Il processo sarà davvero e concretamente partecipativo solo nella misura in cui ciascun membro senta la fiducia di essere rispettato e considerato in relazione alle sue prerogative. Quindi anche le dinamiche di decisione e di selezione delle proposte, come quelle di emersione delle idee e di gestione delle risorse, devono essere trasparenti, partecipate, disposte al contraddittorio e aperte alla ridefinizione in relazione all’emersione di interessi nuovi. Il conflitto non deve essere evitato, ma deve essere gestito con trasparenza e coerenza, dando il chiaro messaggio che la dimensione di interesse pubblico è sempre quella che prevale.

Scambio. Deve essere evidente che si tratta di una grande operazione di scambio, di interazione, di reciprocità. In ogni singola attività, portata da qualunque soggetto, deve essere richiesta la disponibilità ad aprire canali di partecipazione e comunicazione e lasciare fluire nuove e ulteriori soggettività e possibilità. Dare a tutti gli attori della partecipazione la chiara percezione della dinamica di arricchimento reciproco e di contaminazione che deriva dall’intersecarsi in questa operazione. Suscitare il desiderio del meticciamento e rifuggire dalla logica della parcellizzazione degli spazi e dei tempi.

Abbiamo presenti quelle case delle associazioni (che vanno di moda da parecchi anni) create dalle amministrazioni locali come impegno a favorire e valorizzare le risorse del privato sociale, dove ciascun organismo si chiude nel piccolo spazio assegnato e gelosamente vi custodisce le sue azioni e i suoi materiali; dove nascostamente vi conduce i suoi ritrovi senza mai interagire nemmeno con l’organismo della stanza accanto. In una sorta di logica condominiale riprodotta senza alcun valore aggiunto. Ecco, questo esattamente non vogliamo. Vogliamo il valore aggiunto della coabitazione e l’obbligo morale e materiale di mischiarsi agli altri come dei bastoncini dello shangai. Abbiamo chiaro che la partecipazione è fatta di connettività e di desiderio di mescolamento; è fatta della percezione di tutto questo come arricchimento e solo se lo si suscita si riesce davvero a muovere attivazione comunitaria.

Passioni. È evidente che il collante di tutto quanto finora descritto siano le passioni e la capacità di suscitarle e lasciare che fluiscano in maniera fluida e pervasiva. Il registro emozionale deve essere coinvolto in maniera importante, ché la dimensione passionale è il motore che più di ogni altro fa muovere le persone e i gruppi. Anche qui diviene quindi importante veicolare una messaggistica capace di coinvolgere questo registro e valutare qualunque iniziativa in relazione ad essa. Non sottovalutare mai questa dimensione e non sacrificarla in nessun caso alla appropriatezza tecnica o alla fredda dimensione organizzativa. Fedeltà al nesso comunitario e al senso della missione, sono due caratteristiche determinanti rispetto alla capacità di appassionare, da parte dell’impresa che si intende realizzare.

Poca tecnica. Sì, crediamo che il successo di un processo partecipativo non sia tanto nella “tecnologia” che esso mette in campo. Come si vede da questo elenco sono decisamente una serie di valori intangibili e relazionali a farla da padroni e a consentire di costruire un’esperienza partecipativa di successo. Ovvio che una impeccabile tecnologia di animazione delle assemblee partecipative e di costruzione dei processi di decisione e di consenso pubblico, sono di grande importanza. Ma non è lì che è in gioco il successo dell’esperienza. In sostanza la più grande parte di un lavoro di partecipazione cittadina è guidata dalla congiunzione con il sistema di energie collettive che si vengono a determinare.

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