Il Bilancio sociale

Nel precedente post del nostro blog abbiamo parlato di qualità nelle imprese sociali ed abbiamo annunciato – nelle battute conclusive – l’intenzione di riflettere insieme sulle modalità con le quali l’impresa svolge la propria documentazione ed il proprio “dialogo” sulla qualità. In sostanza il modo in cui racconta il proprio essere “di qualità”.

Il principale modo per raccontare la qualità di una organizzazione è tradizionalmente la redazione di un bilancio sociale. Proviamo quindi ad aprire una riflessione sullo status dei bilanci sociali nel nostro Paese ed in particolare sull’evoluzione di questo strumento di rendicontazione nell’ambito delle imprese sociali. Una delle più sistematiche “statuizioni” rispetto a questo documento è quella predisposta dal Gruppo sul Bilancio Sociale che ne recita gli standard, vale a dire i “principi di redazione”. Al suo interno gli obiettivi del bilancio sociale vengono descritti come “fornire a tutti gli stakeholder un quadro complessivo delle performance dell’azienda, aprendo un processo interattivo di comunicazione sociale; fornire informazioni utili sulla qualità dell’attività aziendale per ampliare e migliorare – anche sotto il profilo eticosociale – le conoscenze e le possibilità di valutazione e di scelta degli stakeholder”.

Processo di comunicazione sociale; raccontare la qualità; possibilità di scelta degli stakeholder. I pilastri fondamentali di un bilancio sociale sono dunque questi. La necessità di entrare in un dialogo fruttuoso con una comunità territoriale anzitutto. Quindi non si tratta di produrre un documento fine a sé stesso e destinato a offrire agiografie esultanti ed autoesaltanti, ma uno strumento per accendere “conversazioni” tra l’impresa sociale e la sua comunità di riferimento. Conversazioni tramite le quali l’impresa sociale rendiconta la propria capacità di costruire valore sociale e opportunità di trasformazione della società locale. Come in ogni conversazione, occorre che anche la comunità locale abbia voce per poter esprimere il punto di vista e la percezione rispetto alla produzione di valore dell’impresa.

Ed è in questo processo che gli stakeholder assumono importanza in quanto rappresentano il sistema di interessi che ruota intorno all’impresa sociale e che vanno coinvolti per esprimere una valutazione sui risultati che questa produce, sulla qualità delle interazioni sociali che essa genera. Un bilancio sociale deve sempre essere un documento che è calibrato intorno ai portatori di interessi e che quindi declina la catena del valore generato, in relazione a ciascuno di tali attori. È un tentativo di comprendere in quale misura (non utilizziamo il termine a caso in quanto si tratta anche di sapere individuare delle misurazioni) sia accaduta una modificazione positiva nel sistema di valore.

Una conversazione che ha completamente a che fare con il tema della fiducia; con la necessità di stimolare la fiducia della comunità territoriale verso l’impresa sociale. Questo elemento si lega anche con l’utilità “strategica” che hanno queste forme di rendicontazione, le quali divengono – se opportunamente utilizzate – strumenti di governance dell’impresa. È infatti essenziale che l’individuazione del valore prodotto venga fatta a partire dalla definizione degli scopi imprenditoriali, della missione aziendale, del sistema di valori dell’impresa sociale. Il bilancio sociale diviene un modo per rivedere l’attività, capirne la coerenza con il sistema di principi e nella comunicazione che ne viene svolta con gli stakeholder, costruire un processo di massimizzazione della fiducia.

In una visione maggiormente ecologica, si è via via sviluppato il concetto di rapporto di sostenibilità. In moltissime imprese questo tipo di documento ha sostituito il bilancio sociale ed è una definizione attualmente maggiormente in uso. Dietro tale rapporto c’è un’idea di maggiore attenzione ai contesti (anche a quelli globali) per capire come l’azione della singola organizzazione si colloca in relazione a responsabilità molto ampie anche (soprattutto?) di carattere ambientale. La sostenibilità è un concetto che ha a che fare anche e soprattutto con il rapporto intergenerazionale e quindi con l’impegno e la responsabilità ad offrire condizioni migliori (o quantomeno non peggiori) alle generazioni che seguono.

In questi ultimi anni si sta affermando una nuova visione che si potrebbe porre sotto il cappello della valutazione d’impatto sociale. Sempre più organizzazioni sembrano non soddisfatte delle definizioni precedenti e alla ricerca di un maggiore approfondimento sul tema delle “trasformazioni”. Ci sembra che l’investimento (emotivo e di risorse) intorno ai temi dell’impatto sia legato al desiderio di dimostrare che l’azione della singola organizzazione sia capace di provocare trasformazione sociale, sia in condizione di migliorare concretamente la vita delle persone. Una riflessione che insieme a molti altri elementi ci sembra spingere le imprese sociali (pensiamo in particolare alle cooperative sociali e alla spinta valoriale che era dietro l’approvazione della 381/1991, la legge costitutiva di questa forma d’impresa in quel momento così innovativa) verso un ritorno al recupero dello spirito originale e del sistema di valori che hanno contribuito a farle sorgere.

Molto più importante da rilevare è la spinta che su questa forma di valutazione dell’impresa sta giungendo da un punto di vista “normativo”. Infatti da una parte la riflessione italiana fa diretto riferimento all’orientamento in materia dettato a livello europeo (CESE, 2013), ma assume una particolare importanza nel momento in cui il legislatore (in attesa che i decreti applicativi definiscano meglio il quadro) all’interno della Riforma del Terzo Settore ha legato il concetto di impatto sociale al tema della modalità di affidamento dei servizi sociali (vedi art. 4, comma 1, lettera m). È evidente che sotto queste spinte le imprese sociali non possono fare a meno di cogliere la sfida che questo sistema di rendicontazione sta ponendo. Una sfida che sta tutta nel passaggio di modello economico che stiamo attraversando e che potremmo sintetizzare nella formula del cambiamento da welfare state a welfare society.

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