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Fortezza Europa

NuovaRicerca.AgenziaRes è una cooperativa sociale che si occupa, tra gli altri servizi, della gestione di ben 9 differenti progetti di accoglienza per persone che migrano: includono minori, adulti, vittime di tratta, persone con disagio psichico e con differenti vulnerabilità. Il diritto a migrare e conseguentemente il diritto/dovere ad accogliere fanno parte quindi dei valori fondamentali che ispirano la nostra azione.

E’ per questo che quello che sta accadendo in Europa al confine tra la Polonia e la Bielorussia (in un nostro precedente articolo abbiamo provato a capire chi sono i migranti e come arrivano al confine tra Polonia e Bielorussia con la speranza di poter entrare in Europa) non ci poteva trovare indifferenti: abbiamo sentito la necessità di fare qualcosa di concreto per rispondere ad una emergenza che coinvolge i diritti ma che coinvolge anzitutto la sopravvivenza di persone che hanno l’unica colpa di essere alla ricerca di un miglioramento delle loro condizioni e prospettive di vita.

Nei giorni scorsi abbiamo promosso una raccolta di indumenti per consegnarli a quelle persone intrappolate in una foresta inospitale senza viveri e esposti a temperature insostenibili; condizioni estreme che stanno uccidendo persone ogni nuovo giorno che passa. L’abbiamo promossa tra i nostri soci e allargata ai vicini e conoscenti. La risposta è stata incredibile: in pochi giorni abbiamo riempito un magazzino di 100mq di indumenti pesanti, sacchi a pelo, coperte e simili. Abbiamo dovuto fermare la raccolta perché non eravamo più in condizione di gestirla.

Dopodiché siamo partiti. Con il furgone carico di materiali, siamo partiti alla volta della frontiera tra Polonia e Bielorussia, lato Unione Europea (ci si tiene a specificarlo). Per l’esattezza ad Hajnowka, nel nord-est della Polonia, in sostanza a pochissimi chilometri dal confine. Si è trattato di una missione di pochi giorni, ma che comunque ci ha permesso una migliore comprensione della situazione.

Da una parte siamo riusciti a consegnare tutto il carico del furgone, anche se non è stato semplice. Non lo è stato perché non esiste un soggetto formalmente incaricato di assistere le persone che sono state intrappolate nella foresta e che stanno soffrendo pene indicibili; l’aiuto viene portato da attivisti polacchi (non solo polacchi ma in gran parte sì) in maniera clandestina in quanto proibito e perseguibile penalmente.

La zona che delimita il confine è interdetta al passaggio per alcuni chilometri (la chiamano zona rossa con linguaggio al quale noi terremotati siamo assuefatti, purtroppo): è quindi di fatto criminalizzata l’azione di solidarietà e supporto ai migranti. Abbiamo preso contatto con gli attivisti e acquisito la loro fiducia perché ci potessero consentire di portare i materiali presso una delle loro case clandestine in cui hanno organizzato uno dei magazzini di aiuti.

Operazione che abbiamo realizzato anche grazie al supporto di RBB – Refugee Biriyani & Bananas – un’organizzazione inglese con base nell’isola di Chios (anche lì svolge questa azione di solidarietà e accoglienza) e che tramite Lorenzo, un volontario italiano, ci ha assicurato la condivisione dei contatti costruiti in una loro azione che durava da circa 3 settimane.

Dall’altra parte abbiamo partecipato e assistito, favorendo l’incontro con gli attivisti locali, alla visita di europarlamentari italiani su quel territorio, giunti per conoscere, denunciare e rilanciare una possibile soluzione di una emergenza umanitaria che sta assumendo contorni di crudeltà inaudita.

Tramite i colloqui con alcuni testimoni e con la partecipazione a questo incontro abbiamo potuto capire meglio e sentire quello che sta accadendo. E si tratta di qualcosa di profondamente inquietante. Abbiamo respirato l’aria di un luogo militarizzato, presidiato, in cui sono negate libertà essenziali e in cui si teme per la propria incolumità solo perché si decide di pensarla diversamente e si desidera supportare la vita umana. Abbiamo sentito e respirato l’aria di chi teme a rivelare il proprio nome, teme a rendere pubblico il proprio volto, teme a far conoscere dove si riunisce o quali percorsi faccia.

Lo teme nei confronti dei reparti militari e di polizia e lo teme ancora di più per la presenza di milizie paramilitari – supportate in qualche modo dal governo o quanto meno non osteggiate – che con la violenza, intimidiscono chi si dimostra solidale con i migranti e presta loro qualsiasi tipo di aiuto. Abbiamo sentito racconti di pestaggi, di tentativi di speronamento verso le loro auto, oltre che il racconto della morte di un anziano che non ha più sostenuto gli stenti o di una madre che aveva appena partorito il suo bambino (anche lui morto).

Respirare tutto ciò all’interno dell’Unione Europea, non neghiamo, che è stato un impatto enorme, terribile. I continui controlli il clima di intimidazione nei posti di blocco, ci hanno colpito e oppresso. La sensazione è stata di avere respirato un po’ di “Fortezza Europa” 2.0: uccidiamo e respingiamo i migranti anzitutto dipingendoli tutti come invasori e terroristi (anche se questa forse l’avevamo già sentita); togliamo progressivamente spazi di libertà interni limitando prima il diritto alla solidarietà e al soccorso e poi ledendo le libertà di stampa, manifestazione, riunione, movimento… E criminalizzando chi dissente.

Su tutto questo intendiamo offrire un appuntamento pubblico per raccontare quello che abbiamo visto e sentito: sarà un’occasione per avere una versione un poco più estesa di queste poche righe. Per quanto riguarda nuove iniziative di supporto, stiamo ragionando su cosa abbia senso fare anche in relazione all’evolvere della situazione.

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