Gioco in formazione…
Immaginate: una sala riunioni. Un lungo tavolo nero senza un granello di polvere. Attorno ad esso uomini e donne in abiti eleganti e tailleurs. Grandi finestre e pareti di vetro.
Al centro un mucchio di coloratissimi mattoncini Lego.
C’è qualcosa che non va? Qualcuno ha portato i figli al lavoro?
Assolutamente no.
Il gruppo di professionisti sta partecipando ad un incontro di formazione attraverso il metodo conosciuto come Lego Serious Play.
Il LSP è un metodo che usa gli omonimi mattoncini come catalizzatore e metafora. I partecipanti costruiscono i propri modelli in 3D in risposta alle domande del facilitatore. Questi modelli servono poi per discutere, condividere informazioni e conoscenze, promuovere il problem solving e la presa di decisioni.
Questo approccio coinvolge i partecipanti a molteplici livelli, non solo, e non tanto, cognitivi: essi sono chiamati ad usare le proprie capacità visive, immaginative, uditive, motorie e cinestetiche, offrendo a tutti la possibilità di esprimersi, indipendentemente dalla posizione, dal ruolo, dalla cultura o, addirittura, dal linguaggio stesso.
Questo è un approccio che funziona soprattutto per affrontare problemi dalla soluzione non univoca e non scontata, per definire la quale è fondamentale il contributo di tutti e per la cui realizzazione è necessario che tutti si sentano coinvolti ed impegnati.
Apparentemente, una soluzione semplice (i mattoncini) per dei problemi complessi.
Se il caso del Lego Serious Play è particolarmente eclatante, va però detto che già da decenni la formazione degli adulti, compresa quindi la formazione in ambito aziendale, utilizza il gioco come strumento principe.
Prima o poi è capitato a tutti di trovarsi coinvolti in giochi per rompere il ghiaccio all’inizio di un incontro; in questo caso, ciò su cui si fa leva è proprio una delle caratteristiche principali dei giochi: il divertimento. Iniziare una giornata impegnativa con una breve attività che stimola la risata, l’ironia, spesso che costringe a muoversi, è un modo molto efficace di allentare le tensioni, “destrutturare” i ruoli e promuovere una disposizione positiva all’apprendimento. Perché, per dirla con Marshall McLuhan “non c’è apprendimento senza divertimento e non c’è divertimento senza apprendimento”.
In altri casi, invece, il gioco viene usato per far emergere dinamiche di gruppo, conflitti latenti, modalità relazionali particolari e per farlo si usano spesso i giochi di ruolo e le simulate, in cui i partecipanti sono chiamati, appunto, ad interpretare dei ruoli. Successivamente si analizzano le scene messe in atto, le emozioni e le impressioni che hanno suscitato, analogie e differenze con le situazioni reali.
Un altro obiettivo che spesso si persegue durante le formazioni è quello di promuovere la creatività e il problem solving. E allora si sottopongono agli sventurati partecipanti enigmi o situazioni problematiche apparentemente irrisolvibili, la cui soluzione diventa però ovvia una volta trovata. Per trovarla, tuttavia, è necessario guardare il problema da un’angolatura insolita e pensare fuori dagli schemi.
Tutte le attività che abbiamo descritto sono giochi, o meglio, sono denominate “giochi”.
In effetti, esse possiedono molte delle caratteristiche del gioco:
- Sono attività separate dalla realtà, nel senso che hanno un inizio ed una fine e c’entrano poco con il resto delle attività della giornata;
- Sono improduttive in sé, poiché non producono qualcosa di utile ed immediatamente “esportabile” nella vita quotidiana o lavorativa;
- Sono attività fittizie, nel senso che richiedono un “far finta”.
In molti casi, sono anche attività piacevoli e divertenti, altri elementi imprescindibili del gioco.
Tuttavia mancano di quelle che sono le caratteristiche centrali del gioco vero e proprio: la spontaneità e l’auto-direzione, da una parte, e la “centratura sul processo” dall’altra.
Nelle forme di gioco che abbiamo descritto, infatti, si gioca nei tempi definiti per la formazione e ulteriormente specificati dal formatore; si gioca (soprattutto nei primi momenti) molto spesso perché non ci si può tirare indietro e, soprattutto, i giochi hanno degli obiettivi ben definiti (sebbene non sempre dichiarati): i vari apprendimenti che si vogliono produrre attraverso quell’esperienza formativa.
Il gioco autentico, invece, quello che possiamo osservare nel nostro tempo libero e al suo massimo splendore nei bambini, è un’attività che ognuno sceglie e decide per sé stesso: gioco a ciò che decido io, se e quando ne ho voglia, nel modo e nei tempi che preferisco. E soprattutto: smetto quando voglio! Inoltre, la parte più bella, interessante e motivante è il processo, l’azione in sé e non gli esiti che produce.
È proprio attraverso questo tipo di gioco che tutti noi abbiamo costruito alcuni tra gli apprendimenti più importanti e complessi della nostra vita: camminare, sapere come si comportano gli oggetti, parlare, collaborare con gli altri, tollerare la frustrazione e perseverare, litigare e fare la pace, etc.
La vera sfida, allora, è quella di portare anche nei luoghi del lavoro e della formazione degli adulti una modalità di gioco che sia spontanea ed autodiretta e che permetta, quindi, di promuovere quel tipo di apprendimento implicito che si dimostra così efficace negli altri tempi di vita di ognuno di noi.