URBUM e l’economia civile
Urbum, con questo nome il Comune di Campi Bisenzio (FI) ha organizzato un incontro preventivo al Festival dell’Economia Civile tenutosi dal 15 al 17 novembre. L’incontro ha avuto luogo nei due giorni precedenti. Ho avuto la fortuna di esservi invitato e voglio raccontarlo perché si è trattato di una iniziativa – dal mio punto di vista – straordinaria e che richiama alla necessità di repliche quanto più frequenti possibile.
Partiamo quindi dalla premessa. L’amministrazione comunale di Campi Bisenzio ha posto in essere un distretto dell’economia civile per la città resiliente e collaborativa. Si tratta di un’esperienza che in Italia sta facendo scuola e che sta vedendo nascere altri distretti di questo tipo, con conformazioni e modalità differenti, ma tutti ispirati all’idea che dall’attuale e persistente dinamica di crisi, se ne esce tutti insieme costruendo modelli economici locali di carattere collaborativo. L’obiettivo complessivo è “il ritrovamento di una comunità centrata sulla coesione sociale e sulla sostenibilità e tesa a uno sviluppo quanto più capace di dare possibilità inclusiva di crescita, autonomia, felicità a tutti gli abitanti del contesto”.
Per dare una visibilità forte e una opportunità di rilancio, valutazione e riflessione intorno ai modelli, alle strumentazioni e ai sistemi di significato che sottendono al raggiungimento di questi obiettivi, Campi Bisenzio ha poi realizzato Urbum, il Festival dell’Economia Civile che quest’anno è giunto alla sua terza edizione. “Che colore ha la felicità?” era il titolo che caratterizzava quest’ultimo Festival, con un fitto programma di incontri, riflessioni e workshop che analizzavano sotto i più vari aspetti i temi di una economia locale innovativa, sostenibile e inclusiva.
Ma vi lascio la conoscenza e l’approfondimento sul Festival tramite la consultazione del suo stesso sito o della sua pagina Facebook e torno all’argomento per il quale ho intrapreso la scrittura di questo pezzo: URBUM. Dicevo che ho avuto la fortuna e direi l’onore di partecipare invitato dall’Amministrazione comunale e da Carlo Andorlini (ex-responsabile del programma della Regione Toscana Giovanisì e che attualmente si occupa di formazione e consulenza nel noprofit e nel Pubblico in tutta Italia sui temi dello sviluppo locale rileggendo sistemi territoriali e organizzazioni in chiave di innovazione aperta). Cito Carlo perché in quanto coordinatore di questa iniziativa ne voglio celebrare l’intuizione e la capacità di mettere insieme un momento così significativo, poi realizzato con la collaborazione di un gruppo di lavoro e di una amministrazione comunale assolutamente di grande spessore.
In sostanza Urbum si è tradotta in una residenza di una giornata e mezza, in cui gli operatori che da varie parti d’Italia si stanno occupando di innovazione sociale e di costruzione di contesti “attivanti”, comunitari e inclusivi, si sono confrontati tra loro, per suggerire soluzioni e possibili prassi di promozione sociale e territoriale all’amministrazione campigiana. L’intuizione di Urbum è sembrata, a tutti noi che abbiamo partecipato, di grande interesse e di assoluta utilità. Il mondo del terzo settore ha visto in questi anni un fiorire di iniziative di riflessione e di lavoro sui significati, ma la formula di questo appuntamento ha dato davvero la sensazione di partecipare a qualcosa di differente e di particolarmente utile. Provo a isolare qualche elemento che secondo me ha aiutato a determinare questa sensazione.
Un oggetto comune sul quale riflettere. La riflessione e il confronto era intorno a proposte di soluzione di problematiche che coinvolgono direttamente la città di Campi Bisenzio e che quindi dovevano tenere conto del contesto specifico e tararsi su di esso. “Girare” intorno ad un oggetto condiviso e cercare in maniera collaborativa azioni attuabili e sostenibili, ciascuno a partire dalla propria competenza ed esperienza, ha reso particolare lo scambio, in quanto ha costretto ogni partecipante a rileggere i propri saperi per “porgerli” in maniera utile allo scambio. È stata così eliminata qualunque velleità di farsi belli, e siamo stati costretti a impegnarci davvero per ragionare collaborativamente in maniera utile. Molte delle dinamiche e dei difetti del convegno farcito di workshop in cui ciascuno racconta quanto è bravo, sono state così automaticamente smantellate.
Il numero contenuto. Una ventina abbondante di partecipanti. Un numero quindi che consentiva uno scambio ricco, ma comunque possibile. Ciascuno ha avuto modo di metterci del suo e sono stati valorizzati i contributi di tutti. Nonostante il poco tempo a disposizione, è emersa comunque un’interessante varietà di ipotesi che sono state il frutto concreto di un lavoro condiviso.
La differenza tra i partecipanti. I partecipanti erano espressione di esperienze molto differenti e anche di età (anagrafiche e professionali) molto differenti. E questo ha creato una varietà di contributi sicuramente arricchenti. Si sono quindi mescolati con naturalezza, l’effervescenza e la fiducia dei più giovani, con la pacatezza e l’esperienza dei più datati. Ma anche il portato di frontiera sociale di alcuni, con quello di tecnologia sociale di altri. Le culture più imprenditoriali con quelle più associative. Il mix che ne è venuto fuori è stato di apprendimento per tutti.
La dimensione conviviale. Un elemento sempre fondamentale. Ancora una volta si è sperimentato come in qualunque occasione di incontri seminariali e convegnistici, spesso cose interessanti si apprendono durante i break, nei corridoi, mentre si fuma la sigaretta e si beve un caffè. Ma anche la straordinaria accoglienza, nella quale ci si sentiva avvolti nell’affetto e nella fiducia di una città che esprimeva il senso del dare valore a quelle energie e intelligenze che giungevano da fuori e che avevano risposto con interesse all’invito della città stessa.
L’investimento politico. Un elemento che ha molto responsabilizzato tutti noi. Capita davvero raramente di trovare una intera giunta e molti consiglieri che dedicano due giornate a ragionare insieme a estranei, delle loro politiche sociali. Che accettano di mettere al microscopio le loro politiche e di farne oggetto di valutazione e confronto. Di stare nelle discussioni con intelligenza, umiltà ed attenzione. Capita raramente e quindi trovarlo in quella situazione, in maniera così evidente, ha aiutato a sentirsi valorizzati e quindi a dare il massimo possibile. Ha anche aiutato tutti noi a comprendere cosa possa significare una governance strategica di una città e con quale spirito questa vada agita.
Quindi, chiudendo. A parte il ringraziare ancora una volta gli organizzatori di Urbum per questa immensa opportunità, la consapevolezza che essa ha tracciato un punto di partenza sul quale tutti siamo chiamati a costruire nuovi percorsi. Percorsi in cui si attivino incontri di questo tipo. In cui sia possibile uno scambio e una contaminazione alla pari e un approfondimento vero di reti, connessioni, tematiche, significati e strumenti. Credo sia ora di avviare una stagione di cooperazione reale e sistematica tra le energie (tra le organizzazioni) del terzo settore, con la finalità di costruire un welfare davvero espressione delle comunità locali che divengono comunità di pratiche e che si scambiano soluzioni e opportunità di apprendimento le une con le altre.
Tutto il nostro mondo è farcito di parole d’ordine vecchie e nuove – dal lavoro di rete su su fino all’economia collaborativa – che però spesso rimangono vuote e cercano di abbellire una quotidianità in cui ciascuno cerca da solo di ottenere la sua “salvezza”. Ebbene è davvero giunto il tempo di capire che si costruisce qualcosa solo nella misura in cui si cercano percorsi e azioni collettive e condivise, in cui ci si salva insieme.