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Housing sociale e co-housing: nuovi modi di abitare

La definizione di housing sociale raccoglie un insieme di esperienze, teorie e progetti che promuovono delle pratiche abitative a costi accessibili, cercando di contenere l’impatto ambientale e agevolando le relazioni di buon vicinato.

Per quanto non esista una “dottrina” dell’housing sociale, ci sono tendenze e modalità più o meno utilizzate. Il termine housing sociale si riferisce soprattutto all’Ediliza Residenziale Popolare (ERP) e alle abitazioni di natura pubblica o semi-pubblica, gestite dai comuni e alle quali si può accedere tramite bando o graduatoria. Uno strumento in qualche modo analogo all’esperienza delle residenze IACP, o “case popolari”, per cui si otteneva il diritto di risiedervi in base al reddito.

Nelle attuali tendenze dell’housing sociale il reddito è invece solo uno dei criteri valutativi. L’obiettivo è  accostare singoli o famiglie che hanno background anche molto diversi, cercando di innescare dei meccanismi d’integrazione, cooperazione, scambio e aiuto reciproco. Un esempio in questo senso può essere il NEA di Ferrara.

Quando parliamo di co-housing invece ci si riferisce più spesso ad abitazioni volute da diversi nuclei familiari che si autodeterminano come gruppo. Bisogna tener bene in considerazione che ogni esperienza di co-housing è una storia a sé, proprio perché per definizione sono i protagonisti stessi – cioè i condomini – a decidere, valutare e tracciare il percorso che quel determinato progetto prenderà. Non esistono quindi esperienze di co-housing uguali tra loro.

Co-housing sta per abitare condiviso. Un primo esperimento consapevole di co-housing così definito è stato realizzato nel 1964 in Danimarca, sotto la volontà dell’architetto Jan Gudmand-Hoyer. (1)
Al loro primo esperimento danno il nome di Skovbakken, dal danese traducibile con “la collina nella foresta”. La notorietà di Hoyer cresce notevolmente nel 1967 grazie alla pubblicazione dell’articolo “The Missing Link between Utopia and the Dated One-Family House” e da lì in poi pratiche ed esperienze di co-housing si sono moltiplicate e vengono ben accolte soprattutto in Svezia, Olanda, Stati Uniti, Canada, Austria, Giappone e Italia.

La dimensione privata rimane quindi un elemento fondamentale in tutte queste esperienze: quello che si agevola è la possibilità di condividere spazi, tempo e beni. Con l’obiettivo di abbattere costi – ad esempio quello di attrezzi che si usano soltanto sporadicamente – e di migliorare la qualità della vita degli abitanti.

Le diverse esperienze di co-housing possono distinguersi fin da subito su due piani: quelle che si propongo di insediarsi su stabili già esistenti – quasi sempre con necessari interventi di ristrutturazione – dove un tema chiave è quello del riuso e della rivalutazione degli spazi dismessi; quelle che realizzano nuovi edifici, orientandosi verso scelte sostenibili per quanto riguarda materiali di costruzione e classe energetica. Un esempio sono case in legno o case in paglia, per le quali esistono enti specializzati e all’avanguardia, che possono offrire costi minori e anche un minor impatto ambientale.

Tre sono le caratteristiche principali di ogni co-housing: sostenibilità economica, sostenibilità ambientale, sostenibilità sociale. Il tutto viene realizzato attraverso le modalità della progettazione partecipata (2), in modo da coinvolgere fin da subito le persone che andranno ad usufruire del servizio, che siano singoli, coppie, famiglie con bambini e/o anziani. Sono infatti gli abitanti del condominio che sarà costruito, ristrutturato o riqualificato a dover prendere le decisioni relative alla loro futura abitazione, non un intermediario o un’impresa a scegliere per loro.

Nessuno nega che il percorso sia difficile e faticoso, ma ci sono strumenti utili per rendere efficace il percorso. Attraverso facilitatori ed esperti si attivano percorsi di gruppo che aiutano a creare la dimensione collettiva del progetto, che si auto-rafforza responsabilizzando ogni componente. Non si annullano i litigi, ma si cercano di prevenire con metodologie consolidate.

(1) Fonte riportata in “Cohousing, Coworking, Social Street: Pratiche sul territorio ferrarese per rispondere alla crisi delle relazioni sociali.” di Alice Giuri. Scienze e Tecnologie della Comunicazione, Università degli Studi di Ferrara, a.a. 2015/2016

(2) progettazione partecipata: un esempio può essere il metodo Charrette utilizzato dall’associazione Solidaria per il CoHousing SanGiorgio a Ferrara.

 

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