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Il fenomeno delle migrazioni forzate – seconda parte

L’accoglienza.

Le strutture predisposte per l’ accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati, sono tarate in base alle categorie e alle specifiche necessità. Infatti ad essere accolti nei progetti territoriali non sono solo persone singole ma anche nuclei familiari, donne con minori, minori non accompagnati e persone con vulnerabilità come disagio psichico e disabilità fisica. Nell’anno 2015, l’82% delle strutture utilizzate per l’accoglienza sono appartamenti; il 12% sono centri collettivi mentre il 6% sono rappresentate dalle comunità alloggio, quasi esclusivamente dedicate ai minori non accompagnati. Il dato rilevante degli appartamenti, va nella direzione dell’autonomia e dell’integrazione socio economica nel territorio. Ospitare persone in appartamenti privati rappresenta una buona prassi in vista dell’integrazione. L’ospite riesce in questo modo a misurarsi subito con una situazione di vita il più possibile vicina alla normalità. Può instaurare rapporti con il vicinato e conoscere in autonomia la geografia del quartiere, della città e gli aspetti sociali ad essa connessa.

Il lavoro dell’accoglienza.
Accogliere richiedenti asilo e rifugiati, rappresenta una precisa responsabilità per ogni paese dell’UE. Oltre che alla responsabilità, l’accoglienza è una questione di civiltà e prevedere una politica strutturata e non emergenziale lo è ancora di più. L’Italia, gioca un ruolo importantissimo da questo punto di vista. Gli aspetti territoriali e geografici fanno sì che il nostro paese sia più di altri interessato dal fenomeno migratorio, sicuramente come primo paese di approdo e di transito.

La strada dell’accoglienza integrata in Italia nasce nel 1999 quando associazioni e organizzazioni non governative hanno iniziato a lavorare per un’accoglienza di rete. Nel 2001, il Ministero dell’Interno – Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, l’Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI) e l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) hanno siglato un protocollo di intesa per la realizzazione di un programma nazionale asilo, istituzionalizzato con la legge 189/2002 che istituiva il Sistema di protezione per i richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR).

Abbiamo delineato i numeri del fenomeno delle migrazioni forzate e indicato le differenze tra i diversi tipi di accoglienza nel nostro paese. La convinzione, non solo nostra, è che un sistema unico debba sostituirsi alle misure emergenziali che spesso forniscono risposte non del tutto adeguate ai problemi di chi è fuggito dal proprio paese e ai problemi dei territori ospitanti. Per attivare misure rispondenti alle criticità, c’è una forte necessità di una professionalizzazione sempre maggiore del mestiere dell’accoglienza. Non si può lasciare libertà di intervento e gestione a soggetti impreparati o si rischia di veder comparire ovunque avventurieri dell’accoglienza con il rischio certo di un abbassamento degli standard qualitativi con ripercussioni sociali non ignorabili.


A livello nazionale, la figura professionale preposta all’accoglienza dei rifugiati e richiedenti asilo non è tuttora repertoriata.
Di solito accedono a questo lavoro le persone interessate senza particolari titoli di studio. Per lo meno questo avveniva i primi anni: oggi, c’è una crescente attenzione da parte del privato sociale nella scelta delle équipe di lavoro che devono essere il più possibile multidisciplinari. La formazione specifica degli operatori deve diventare una buona prassi ma non intesa come formazione iniziale, alfabetizzazione spot e nient’altro. Deve essere un percorso di continuità: formazione specifica sulla normativa internazionale del diritto di asilo, sulle norme riguardo la pubblica amministrazione, la sanità, i servizi territoriali, il sistema scolastico, le politiche del lavoro e dell’inclusione sociale, le norme specifiche in materia di tirocini formativi e borse lavoro volte all’inserimento economico, l’accesso ai servizi di medicina legale, le condizioni geopolitiche dei paesi di provenienza ecc. Un lavoro complesso e articolato che non può essere lasciato al caso o alla buona volontà delle associazioni e delle organizzazioni.

L’équipe multidisciplinare.

La titolarità dei progetti territoriali della rete Sprar, è affidata in Italia agli enti locali come comuni o unioni di comuni e in precedenza anche alle province (oggi soppresse). Gli enti locali, detengono la titolarità dei progetti territoriali che vengono affidati ad un ente gestore che proviene dal terzo settore del privato sociale. L’ente gestore è il responsabile del lavoro quotidiano dell’accoglienza, della sua programmazione e della predisposizione dell’équipe di lavoro. Quest’ultima, è lo strumento decisivo nell’affrontare percorsi di integrazione delle singole persone sul territorio.

Per poter affrontare una presa in carico difficile e complessa, i progetti territoriali devono sapersi dotare di un’équipe articolata, multidisciplinare e soprattutto qualificata. I progetti hanno delle caratteristiche diverse tra loro: elementi geografici e sociali incidono molto sull’organizzazione del lavoro e sulla necessità di figure professionali altamente specializzate e mai improvvisate. Inoltre, esistono delle differenze significative a seconda delle caratteristiche dei beneficiari accolti. È chiaro che all’interno dei progetti volti all’accoglienza e integrazione di persone con disagio mentale, disabilità fisica, vittime di tratta e tortura ma anche minori non accompagnati, donne singole con minori e nuclei familiari servano operatori in grado di rispondere alle esigenze particolari e complesse che si troveranno davanti.

Cercando di fare una sintesi delle caratteristiche imprescindibili di un’équipe di lavoro di questo tipo, possiamo dire che le figure professionali utilizzate devono essere formate ed avere la possibilità di accedere ad una formazione continua, ben inserite nel contesto locale per poter gestire al meglio i rapporti e la rete che dovranno costituire con i servizi pubblici e gli altri attori del territorio, condividere gli scopi dell’accoglienza integrata ed essere ben coordinate, sviluppando il concetto di leadership diffusa. In base al contesto territoriale e alle specifiche del progetto, i ruoli degli operatori dovranno essere ben definiti. Secondo il manuale operativo Sprar, devono essere previste alcune figure professionali per ogni progetto: il coordinatore dell’équipe; gli operatori riconducibili all’accoglienza materiale dei beneficiari; gli operatori che seguiranno i servizi di mediazione linguistica e interculturale e l’accesso ai servizi del territorio; operatori preposti all’accompagnamento nell’inserimento sociale, abitativo, lavorativo e formativo; operatori dedicati alla sfera legale; operatori responsabili della presa in carico sanitaria e psicologica; operatori responsabili della gestione della Banca Dati dello Sprar. A questi ruoli possono essere aggiunte ulteriori figure come il responsabile amministrativo e il personale ausiliario.

Risulta evidente che le capacità dell’operatore dovranno essere trasversali. È necessaria una conoscenza approfondita dal punto di vista legale dello status giuridico dei beneficiari; occorre una visione ampia nel prendere in considerazione il progetto individuale di ogni singola persona al di là delle proprie mansioni e responsabilità; grandi capacità di ascolto, di comunicazione ma anche di assertività; saper far emergere le abilità e le capacità dei beneficiari nella fase di riacquisizione del proprio bagaglio culturale, emotivo e attitudinale che segue il trauma subito.

L’équipe di lavoro, deve essere capace in linea generale di rispondere allo stress e alle criticità in modo resiliente. Saper gestire in modo efficiente le situazioni difficili considerando il gruppo di lavoro nel modo più ampio possibile, inteso come operatori, beneficiari, ente locale e professionisti esterni che collaborano attivamente al progetto ne determina molto spesso la buona riuscita e previene situazioni di criticità e crisi.

Attualmente in Italia, non esiste un contesto formativo specifico per gli operatori dell’accoglienza. Ci sono linee guida e raccomandazioni sui profili da impiegare all’interno dei progetti territoriali ma manca una regolamentazione di tipo strettamente formativo. Riconoscendo la grande importanza che riveste l’operatore, dal punto di vista sociale, territoriale e culturale, immaginare un percorso specifico di formazione sarebbe auspicabile e andrebbe nella direzione della maggior tutela verso i beneficiari e verso i territori. Stiamo parlando di un fenomeno in crescita e di un settore che nel corso degli anni sta emergendo sempre di più e che diventerà, se non lo è già, strutturale.

Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2016 completo. Leggilo qui

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