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Gruppi per il cambiamento: un decalogo

Attivare il cambiamento in una organizzazione è un’operazione sempre complessa. NuovaRicercaAgenziaRes ha deciso di provarci con convinzione. Lunedì 5 giugno si è svolto un seminario di formazione dal titolo “Strumentazione per l’analisi e il design dei servizi” (all’interno del percorso formativo Officina di Sociale Evoluto) nel corso del quale un piccolo gruppo di soci ha ragionato su come sia possibile costruire un gruppo di lavoro interno che si occupi di innovazione, guidato da Roberto Leonardi.

Leonardi è il Segretario Generale della Fondazione per l’Innovazione del Terzo Settore e ha guidato il seminario verso l’individuazione degli elementi alla base dell’attività di un gruppo per il cambiamento. Di seguito 10 punti con i quali abbiamo ricostruito quanto emerso e che potremmo considerare una sorta di piccolo decalogo del gruppo per l’innovazione:

  • Lavoro sul gruppo.

    Essere un gruppo per il cambiamento comporta la necessità anzitutto di divenire davvero un gruppo. Non si può pensare di modificare un’organizzazione e spostarla verso nuove configurazioni senza essere un gruppo molto serrato e unito. Un gruppo di questo tipo si caratterizza per un sistema di valori condiviso; per una visione e degli obiettivi condivisi; per un sistema di regole condivise. Occorre quindi partire da qui; ne va del risultato finale.

  • La costruzione di un foresight.

    Il cambiamento suppone una capacità di proiezione: una visione strategica. Significa la capacità di saper pensare alla propria organizzazione sul lungo periodo: almeno 10 anni, possibilmente di più (anche 30). Sembra banale, ma molto spesso i dirigenti di impresa sociale fanno fatica ad avere questo sguardo, sono troppo abituati ad una navigazione a vista. Invece, non esiste innovazione senza capacità di visione di lungo periodo.

  • Il tema del risk-management.

    Siamo capaci di “vivere esposti”? In quale misura il rischio, la capacità di prevederlo, ma anche quella di affrontarlo e gestirlo, sono elementi che siamo in condizione di giocare? Riusciamo a comprendere che la ricerca di una ricetta che ci garantisca sempre una rotta sicura, comporta la difesa dello status quo e l’esatto contrario dell’innovazione?

  • Percepire il senso di un’urgenza.

    In quale misura il cambiamento è per noi un’urgenza? In quale misura sentiamo di essere nei pressi di un punto di non ritorno, dal quale o introduciamo nuove e significative modifiche oppure siamo destinati a declinare e scomparire? Quanto questa scelta è decisiva e non rinviabile? Perché nella misura in cui abbiamo questa percezione di urgenza saremo efficaci; nessuno che non senta la impossibilità di rinviare il cambiamento, sarà sufficientemente motivato a introdurlo davvero.

  • Spazio come elemento che influenza la creatività.

    Per cambiare occorre creatività. La creatività è una dote sulla quale lavorare e tra le spinte che la favoriscono c’è anche quella degli spazi che abitiamo. Lavorare in un ambiente dinamico, piacevole, collaborativo, aperto, stimola la dimensione creativa. Modificare spesso l’outfit del nostro ufficio aiuta a costruire pensiero divergente e quindi creativo.

  • Abbandonare le routine.

    Appunto, pensiero divergente: se intendiamo favorirlo dobbiamo spingere via le routine organizzative. Metterle in crisi, in discussione: provare a ripensare le i processi di lavoro secondo punti di vista e criteri nuovi, secondo esigenze e spinte che si modificano. Questo elemento viene introdotto anche coinvolgendo nel processo nuovi attori che in qualche modo siano in condizione di fornire nuove esigenze e difficilmente si allineino su quelle consolidate.

  • Regole ferree come stimolo alla creatività.

    Il contrario di quanto si pensa. Un processo creativo e innovativo è anche un momento di grande disciplina e senso delle regole. Proprio perché il processo creativo è un processo cooperativo, senza forti ed evidenti momenti di regolamentazione cui tutto il gruppo aderisca con convinzione, non è possibile che possa essere garantito l’efficace e positivo contributo di tutti.

  • La necessità di lavorare sui significati.

    La capacità di rispondere ai perché. È su questo territorio che si pone l’innovazione quando vuole essere più profonda. Individuare significati nuovi cui dare risposta; immaginare terreni e questioni aperte sulle quali misurarsi; fare un lavoro da ricercatori di significato prima che da ingegneri organizzativi. Solo in questo modo sorge l’innovazione più spinta. Se non si sale su questo livello, siamo destinati ad una innovazione che è solo imbellettamento e che non ci condurrà a nulla di veramente importante.

  • Il tema della capacitazione.

    In questa fase storica questo è l’obiettivo che si deve assegnare agli interventi di carattere sociale. Non più una mera erogazione di servizi, definita dall’attore pubblico in ragione di necessità che esso valida e finanzia. L’impresa sociale deve fare il salto di concepire il beneficiario come un co-protagonista del servizio che riceve; un beneficiario che partecipa alla ricerca di una migliore capacità di superamento delle problematiche nelle quali è coinvolto.

  • Concepire la propria innovazione all’interno di una innovazione di contesto.

    Quale il senso per una impresa sociale di concepire la propria innovazione come esclusiva e astratta dal contesto? Siamo l’aria che respiriamo e l’ambiente che viviamo. Allora un gruppo per il cambiamento deve concepire la propria azione all’interno di un ecosistema che pertanto, deve essere coinvolto e messo a risorsa rispetto all’azione che si intende intraprendere. Solo una forte interazione con i sistemi esterni e con gli attori territoriali, nella nostra azione per il cambiamento, può essere garanzia di un reale impatto.

 

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